Seadas: la dolcezza antica di Sardegna

La seada: ognuno di noi almeno una volta nella vita deve assaggiarne una. Il dolce sardo per eccellenza che al singolare si pronuncia seada, sebada o sevada, in base alle diverse aree del territorio, ricorda un piccolo raviolo per la sua forma rotonda con il tipico bordo smerlato, ripieno di formaggio.

Le origini della Seada

La seada era un piatto della cucina povera, nato nelle parti della Sardegna legate alla pastorizia come la Barbagia, Ogliastra, Logudoro, Gallura e Baronie.

In origine la seada era considerata come un piatto unico che le donne preparavano per festeggiare ricorrenze speciali come Natale o Pasqua, periodo nel quale i loro mariti rientravano dalla transumanza. 

Ma quale è l’origine del nome Seada?

Ci sono varie teorie sull’origine del nome Seada. Alcuni attribuiscono origini spagnole, infatti il termine spagnolo  cebar, o cebana tradotto in italiano significa “cibare” e “alimentare”. Altri invece affermano che deriverebbe dal latino sebum, che identificava il grasso animale, uno dei principali ingredienti della ricetta, chiamato in sardo su seu.

Come è fatto questo dolce tipico sardo?

La seadas sono fatte con un tipica pasta sarda chiamata pasta violata o violada  a base di semola, strutto e acqua. Tra i due dischi di pasta violata è racchiuso un ripieno di pecorino fresco, scorza di limone e acqua. Una volta sigillata la seada viene fritta in abbondante olio di semi e ricoperto con miele di corbezzolo o di castagno tipico della Sardegna. 

Come abbinare la seada a tavola?

L’abbinamento perfetto è quello con i vini bianchi dell’isola, dolci e aromatici, come:

  • Vermentino di Sardegna

  • Vernaccia di Oristano

  • Malvasia di Bosa

  • Moscato di Sardegna  

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